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Scienza

Radiazioni ionizzanti: gli effetti, il rischio, l’informazione e le norme

Gli effetti delle radiazioni

I raggi X e la radioattività, scoperti rispettivamente nel 1895 e 1896, si rivelarono subito come potenti e innovativi strumenti di diagnostica medica lasciando intravedere anche alcune possibilità di impiego in campo terapeutico (risale infatti al 1899 la prima guarigione a mezzo dei raggi X di un cancro della cute). Tuttavia si evidenziarono rapidamente anche alcuni aspetti collaterali negativi come, ad esempio, l’insorgere di eritemi legati a lunghe esposizioni alle radiazioni. Successivamente, 6-7 anni dopo la loro scoperta, si ebbe evidenza dell’induzione di un tumore maligno della pelle insorto su un’ulcera radiogena cronica. Si può dire quindi che la radiopatologia è la conseguenza dei benefici della radiologia, ed è proprio per questi evidenti vantaggi che in breve tempo, agli inizi del secolo, vi è stata una enorme diffusione degli apparecchi a raggi X ed una intensa attività di ricerca sul radio, che hanno esposto un numero di operatori sempre più vasto alle radiazioni ionizzanti. Con la diffusione dell’uso, si è avuto anche un aumento ed una differenziazione della patologia, e, accanto ad una prima patologia di tipo acuto è comparsa anche quella di tipo cronico: “la cute del radiologo”. Nel 1912 viene poi descritta la prima “anemia da raggi”, anche essa in forma cronica, lentamente evolutiva, che è stata nosologicamente con più frequenza riferita come “sangue dei radiologi”.
In sul finire degli anni venti furono evidenziati gli effetti genetici in esperimenti di radiobiologia: il moscerino della frutta, per la prolificità e la velocità riproduttiva, ha fornito il mezzo di indagine d’elezione ed ha mostrato la capacità mutagena delle radiazioni, con possibili effetti trasmissibili alla discendenza (peraltro mai riscontrati nella specie umana). I risultati di tali studi vennero più tardi estrapolati alla specie umana, senza però che nella specie umana mai fino ad oggi siano stati osservati, neanche nelle popolazioni più esposte.
Le ricerche e le applicazioni per fini bellici e, successivamente, per fini industriali ed energetici, negli anni ’40 e ’50 hanno portato ad evidenziare altre patologie di tipo acuto con coinvolgimento parziale o totale dell’organismo: le sindromi acute localizzate e quelle da panirradiazione, che sono conseguite alle forti esposizioni determinate da esplosioni nucleari, o da incidenti verificatisi negli impieghi pacifici dell’energia nucleare dopo gli anni ’50.
A cominciare dagli anni ’50 sono iniziati i primi studi epidemiologici su categorie, soprattutto radiologi e gruppi di pazienti esposti per motivi terapeutici e diagnostici, per chiarire il sospetto, già presente negli anni ’30, circa le capacità oncoinduttrici delle radiazioni. Gli studi epidemiologici degli anni successivi più significativi dal punto di vista statistico soprattutto quelli degli esposti alle esplosioni delle bombe atomiche, hanno confermato tale sospetto, orientando la IARC ad attribuire alle radiazioni la collocazione in classe 1 come: “agenti cancerogeni per l’uomo”.
Oggi si può quindi dire che il capitolo delle malattie da radiazioni ionizzanti ha raggiunto un assetto definitivo nel vasto libro della patologia umana, talché tale capitolo viene unanimemente suddiviso nei seguenti paragrafi (vedi tabella 7):

  • effetti somatici deterministici (per il passato denominati effetti somatici non stocastici o anche, da noi in Italia, effetti graduati) che l’individuo subisce entro “breve tempo” a seguito di esposizione di entità rilevante, la cui incidenza è caratterizzata da una relazione dose-effetto con soglia;
  • effetti somatici stocastici che conseguono all’individuo a seguito di esposizioni, anche di bassa entità, la cui incidenza è caratterizzata da una relazione dose-probabilità;

·         effetti genetici che conseguono ai discendenti della popolazione esposta, la cui incidenza si suppone avvenga anche nella specie umana, in conformità ad una relazione dose-probabilità.

Tab.7: Classificazione dei danni da radiazioni ionizzanti
 

SOMATICI
(individuoesposto)
GENETICI
(progenie)
Deterministici
Stocastici
Stocastici
Radiodermite
Infertilità
Cataratta
Sindrome acuta da irradiazione
Altri
Tumori solidi
Leucemie
Mutazioni geniche
Aberrazioni cromosomiche

A questi effetti canonici, anche a seguito delle reazioni riscontrate in situazioni incidentali, bisogna aggiungere gli “effetti psicologici”, che conseguono anche in assenza di un assorbimento di dose e che mostrano la loro presenza essenzialmente con manifestazioni cliniche sul piano psichico e psicosomatico.

Effetti somatici deterministici (non stocastici o graduati)

Sono, questi, effetti conseguenti a esposizioni a dosi elevate. Indicativamente la soglia di sensibilità dell’organismo “in toto” è, per un irraggiamento acuto, dell’ordine di 0.25 Gy (25 rad), valore intorno al quale cominciano a manifestarsi le prime alterazioni ematologiche, rappresentate da un modesto, precoce e transitorio calo linfocitario, mentre la comparsa di qualche aberrazione cromosomica si verifica già per l’assorbimento di una dose di un fattore 2-3 più bassa.

Tab.8: Caratteristiche dei danni deterministici
– Dose elevata determina
Gravità
Frequenza
– Relazione dose effetto non lineare (sigmoide)
– Dose soglia dipendente da:
Tipo e qualità della radiazione
Fattore di protrazione della dose
Tessuto e organo irradiato
Variabilità individuale
Sensibilità del metodo diagnostico
– Danno policitico (volume tessuto irradiato)
– Reversibilità (entro certi limiti)
– Insorgenza per lo più precoce
– Danno

Questi effetti non sono solamente caratterizzati dalla presenza di una soglia, ma anche da una gravità, sul piano sintomatologico, clinico e prognostico, crescente con la dose ricevuta. Per queste ragioni da noi, in Italia, tali effetti venivano denominati anche “effetti graduati” (da gradus=gradino) per indicare non solo la presenza di una soglia, ma anche questa “gradualità” delle manifestazioni cliniche connessa con l’entità della dose assorbita. Nella tabella 8 sono riassunte le principali caratteristiche di questo tipo di effetti.
Come la maggior parte delle grandezze di interesse biologico, anche la risposta alle alte dosi di radiazioni ionizzanti, in riferimento alla variabilità biologica individuale, ha un andamento di tipo gaussiano, talché, per ogni “effetto graduato” possibile, si può costruire una curva similgaussiana con una soglia, un proprio valore medio ed una propria deviazione standard. L’integrale di tale curva ha un andamento sigmoidale e fornisce la curva di distribuzione cumulativa, la quale consente, per esempio, di ricavare la “dose efficace 50%” per l’effetto considerato. Con tale dizione si intende quella dose che determina la comparsa dell’effetto in questione nel 50% degli esposti alla dose stessa.
Il meccanismo d’azione che, a livello biologico, è responsabile della induzione di questi effetti è la necrosi delle cellule funzionali dei tessuti irradiati, talché la sintomatologia discende dalla perdita parziale o totale della funzionalità del tessuto stesso. Da un punto di vista pratico va tenuta in considerazione anche la diversa natura e quindi “sensibilità” del tessuto irradiato. In particolare, le cellule staminali o quelle meno differenziate sono quelle che subiscono i maggiori danni, infatti la “radiosensibilità” è tanto maggiore quanto più la cellula è vicina al compartimento staminale, cioè quanto più basso è il suo grado di differenziazione. E’ questa una osservazione che risale agli inizi del secolo e che va sotto il nome di legge di Bergonie e Tribondesu: le cellule immature e le cellule in stato attivo di suddivisione sono più sensibili alle radiazioni di quanto non lo siano le cellule che hanno acquistato le loro caratteristiche morfologiche e fisiologiche adulte. Si riscontra allora che il midollo osseo rosso, i tessuti linfoidi, la mucosa gastroenterica, gli oogoni e gli spermatogoni, sono i tessuti più radiosensibili.

Tab.9: Dose soglia indicativa per alcuni effetti deterministici
Dose soglia (Gy)Effetto
0.10danni embrionali
0.25manifestazioni ematologiche
0.30sterilità transitoria
0.75malattia da raggi
1.00sindrome emopoietica (panirradiazione)
2.00cataratta
3.00eritema semplice
4.00dose letale media al 50%
5.00sindrome gastroenterica (panirradiazione)
20.0sindrome cerebrale

Sostanzialmente quindi, a seconda dell’effetto, vi è una soglia che va correlata alla radiosensibilità del tessuto interessato. Nella tabella 9 vengono riportate le soglie approssimative di dose per alcuni effetti conseguenti ad una irradiazione acuta. Gli effetti di una irradiazione acuta vengono anche detti “effetti precoci”, giacché compaiono, dalla azione della causa, dopo un intervallo di tempo (periodo di latenza) relativamente breve (ore, giorni o settimane). Fa eccezione la cataratta che può avere periodi di latenza dell’ordine di 1-2 anni; ma anche in tal caso le prime opacità del cristallino compaiono abbastanza precocemente. Il breve periodo di latenza è pertanto un altro elemento caratteristico di tali effetti (gli effetti stocastici infatti hanno periodi di latenza ben più lunghi, dell’ordine di anni).

Per illustrare l’altra caratteristica, quella della gradualità, nella tabella 10 sono riportate le manifestazioni cliniche che compaiono a seguito di una panirradiazione acuta di entità crescente.

Tab.10: Intervalli di comparsa di sindromi conseguenti a panirradiazione
Dose assorbita (Gy)Manifestazioni cliniche
0 – 0.25nessuna manifestazione
0.25 – 1.0manifestazioni ematologiche rilevabili
1.0 – 2.0manifestazioni ematologiche rilevanti, vomito
2.0 – 6.0manifestazioni ematologiche imponenti, torpore, emorragia, infezioni, vomito, nausea, emorragia
6.0 – 10.0sindrome intestinale
20.0sindrome neurologica

Nel caso di una irradiazione localizzata alla cute, la “gradualità”, e quindi la gravità, delle lesioni è riportata nella tabella 11.

Tab.11: Correlazione tra gravità e dose nel caso di esposizione della cute
Dose soglia (Gy)Manifestazioni cutanee
0 – 3nessuna manifestazione
~ 3eritema semplice
~ 6eritema bolloso
~ 12dermatite ulcerosa
~ 32dermatite necrotica

In questa tabella la dose soglia è riferita a raggi X di 100 KeV. Le soglie aumentano per radiazioni più penetranti, ma allora vengono interessati anche i tessuti profondi. In ogni caso anche per radiazioni elettromagnetiche più penetranti, le manifestazioni precedenti si verificano in corrispondenza di una dose assorbita dalla strato basale della cute pari a quello sopra indicato. Ciò non è più vero se si cambia “tipo” di radiazione. In particolare, una irradiazione dello strato basale con particelle alfa, con neutroni o con protoni determina gli stessi effetti a livelli più bassi di dose assorbita. Questa constatazione ha consentito di introdurre il concetto di “efficacia biologica relativa” della radiazione, il cui significato è numericamente correlato al rapporto tra la dose efficace al 50% della radiazione in esame, rispetto alla stessa dose di radiazione elettromagnetica. Oggi tale concetto, che è pur sempre valido in radioterapia, è stato adattato alle esigenze della radioprotezione con riferimento soprattutto agli effetti stocastici, di cui si dirà più oltre, e si preferisce parlare di “fattore di peso” piuttosto che di “fattore di qualità” della radiazione (come nel passato recente) o di “efficacia biologica relativa” (come nel passato più lontano).
Tra gli effetti graduati vengono di solito riportati anche quegli effetti somatici che compaiono sempre a seguito di dosi cumulate elevate per esposizioni protratte nel tempo, sia che l’erogazione delle dosi avvenga costantemente, ma con intensità relativamente bassa, sia che avvenga ad intermittenza ad intensità più alta, ma sempre al di sotto dei valori di soglia. Tale modalità di irradiazione consente all’organismo di riparare le “microlesioni”, almeno in parte, e quindi di dilazionare nel tempo la comparsa delle manifestazioni cliniche. In queste condizioni espositive si hanno soglie più elevate il cui valore può essere ottenuto dalla seguente espressione:

Dc = Datn

dove Dc è la soglia per esposizione cronica, Da è quella per esposizione acuta, tè il tempo durante il quale la dose viene frazionata ed n è un numero valutato sulla base della pendenza della curva su scala bilogaritmica ed è espressione della capacità di recupero del tessuto.

La “distribuzione temporale” della dose, pertanto, determina un innalzamento delle soglie di comparsa dei vari effetti graduati di un fattore variabile, in relazione al periodo di frazionamento della dose. Tale principio viene sfruttato in radioterapia. Ma parlando di radiopatologia la esposizione cronica interessa in quanto responsabile di due sindromi, che, per esser diffuse nel passato tra i radiologi, sono note come “sangue del radiologo” e “cute del radiologo”. La prima (anemia cronica) è il risultato di una ipoplasia midollare indotta da dosi dell’ordine di qualche centiGray per settimana al midollo osseo, con un quadro ematologico periferico di tipo anemico e leucopenico che migliora a seguito di allontanamento dalla sorgente di rischio. La seconda (radiodermite cronica) si manifesta dopo alcuni anni di esposizione al rischio con secchezza, assottigliamento e fragilità del rivestimento cutaneo, con comparsa di verruche, ipercheratosi e teleangectasie e, a lunga distanza, comparsa di piaghe torbide di difficile guarigione e possibile comparsa di carcinoma di tipo spino- o basocellulare.
I tessuti non hanno tutti la stessa suscettibilità nei confronti delle radiazioni ionizzanti. Ve ne sono alcuni più radioresistenti, altri meno e questo è vero sia per quanto riguarda gli effetti graduati che per quanto riguarda gli effetti stocastici. In particolare, si può tracciare la seguente scala qualitativa di radiosensibilità dei vari tipi cellulari o tessuti:

linfociti
cellule germinali
cellule basali dell’epidermide e mucose
connettivo
fegato
muscolo
sistema nervoso

In generale, la scala di radiosensibilità dei tessuti ubbidisce alle regole di Bergonie e Tribondeau (1906) già ricordate sopra, anche se oggi si è riscontrata qualche eccezione. In genere, la radiosensibilità è maggiore per quelle cellule per le quali:

– la frequenza mitotica è più alta,
– il processo cariocinetico è più lungo,
– le caratteristiche fisiologiche e morfologiche sono meno definite.

Come ulteriore informazione si può aggiungere che le cellule e i tessuti sono più radiosensibili quanto meglio sono ossigenati (effetto ossigeno): se meglio ossigenate, le cellule non solo si riproducono più rapidamente, ma più facilmente possono formare composti nocivi o complessi molecolari che possono legarsi ad altre molecole importanti per la sopravvivenza cellulare o per il contenuto informativo che devono trasmettere alla loro discendenza. L’ossigeno peraltro può comportare il blocco dei sistemi enzimatici di riparazione, con la formazione di perossidi irreversibili ed inattivi.
Per spiegare meglio gli effetti elementari di interesse cellulare e la diversa radioresistenza dei tessuti, conviene ricordare che le cellule si suddividono in perenni (tessuto nervoso, muscolare….), stabili (epatociti, fibrociti….) e labili (sistema emopoietico, mucose, pelle…).
Le cellule perenni, una volta raggiunta la maturità funzionale, non vanno più incontro (almeno teoricamente) a processi riproduttivi (o si riproducono con estrema lentezza) in tutto il corso della vita dell’individuo. Le cellule stabili vanno incontro a mitosi solo nel caso di particolari stimoli, conseguenti, ad esempio, alla riduzione della massa del loro tessuto o a particolari richieste fisiopatologiche dell’organismo. Le cellule labili, infine, sono cellule che hanno un loro ciclo vitale limitato, al termine del quale pertanto devono essere sostituite.
Mentre le manifestazioni graduate conseguenti ad irradiazioni acute sono a tutt’oggi ancora riscontrabili a seguito di situazioni incidentali o di irradiazioni terapeutiche, le manifestazioni ora descritte non sono più oggetto di osservazione clinica a causa degli alti livelli di protezione ed al rispetto degli stringenti standard di radioprotezione che da alcuni decenni vengono messi in atto. Per cui, quando oggi si parla di radioprotezione, si intende sostanzialmente quella disciplina volta alla riduzione del rischio stocastico, giacché si dà per scontato che nella attività lavorativa le dosi, salvo situazioni incidentali, sono contenute a livelli ben più bassi rispetto alla soglia di comparsa degli effetti graduati. Accanto a questi effetti negativi sul piano sanitario, non possono certamente essere dimenticati i numerosi impieghi che sullo stesso piano sanitario vedono le radiazioni ionizzanti protagoniste sia nella diagnostica, sia, soprattutto, nella terapia dei tumori.

Effetti somatici stocastici

Sotto il termine di effetti stocastici si raggruppano sia effetti somatici (che interessano il “soma” dell’individuo esposto), sia effetti genetici (che interessano i figli degli esposti) e per i quali si veda il paragrafo successivo. Questi effetti compaiono con incidenza casuale e per essi, convenzionalmente e per i fini della radioprotezione, si assume una probabilità non nulla di comparsa anche per dosi molto piccole e prossime allo zero (ipotesi dell’estrapolazione a zero), e cioè si assume l’assenza di una soglia. In particolare, l’induzione di effetti somatici stocastici consiste nella induzione di tumori (oncogenesi) su tessuti o organi dell’individuo esposto. Le principali caratteristiche di tale tipo di effetti sono riportati nella tabella 12.

Tale capitolo della patologia da radiazioni è indubbiamente più importante per la radioprotezione, proprio in relazione a questo manifestarsi “a caso” degli effetti stocastici e al fatto che si prescinde da una soglia; pertanto per i fini della radioprotezione si assume che neanche al di sotto dei valori limite di dose vi sarebbe una garanzia assoluta nei riguardi di una possibile patologia indotta.

Va esplicitamente ed enfaticamente rilevato però che l’estrapolazione a zero è un’ipotesi. Essa è stata formulata come principio di prudenza per i fini esclusivi della protezione dalle radiazioni, cioè della disciplina di radioprotezione a suo tempo fondata per la prevenzione e per la protezione degli effetti sanitari dell’esposizione a radiazioni ionizzanti, disciplina ben distinta dalla radiopatologia che è invece la disciplina che si occupa della clinica, terapia e riabilitazione dei pazienti affetti da patologie già in atto causati dall’esposizione alle radiazioni, disciplina nella quale evidentemente non ha senso il principio di estrapolazione a zero.

Tab.12: Caratteristiche dei danni stocastici
– Dose (anche molto bassa)
Non determina la gravità (legge del “Tutto o nulla”)
Determina la probabilità di comparsa
– Relazione dose-effetto lineare passante per l’origine
– Dose soglia supposta assente per i fini della radioprotezione
– Danno monocitico
– Latenza lunga e molto lunga
– Assenza di reversibilità
– Danno aspecifico
– Attribuzione eziologica su base probabilistica

Poiché oggi il tema degli effetti stocastici è il tema dominante nell’interesse collettivo, merita precisare alcuni elementi di basilare interesse per la comprensione di questi effetti, a cominciare dalla definizione.
Il tumore è una espansione incontrollata di una popolazione cellulare, una situazione, cioè, nella quale il fenomeno della riproduzione cellulare è sottratta alle regole di insieme che governano la condizione di omeostasi riproduttiva delle cellule. I tumori, a secondo della loro evoluzione ed a seconda delle caratteristiche anatomo?patologiche (invasività, anaplasia, perdita delle caratteristiche morfologiche, metastatizzazione, velocità di crescita) possono a loro volta distinguersi in benigni o maligni. Inoltre, a seconda del tessuto colpito, assumono denominazioni diverse, come, ad esempio:

  • tumori del tessuto epiteliale: carcinomi (maligni), polipi, adenomi, papillomi (benigni)
  • tumori del tessuto connettivo: sarcomi (maligni), fibromi, lipomi, osteomi, condromi, leiomiomi, angiomi (benigni)
  • tumori del tessuto nervoso: neuroblastomi, gliobastomi (maligni), neurinomi, glomi (benigni)
  • tumori del tessuto emopoietico e linfatico: leucemie, plasmocitoma, linfoma e adenoma, ecc.

In radioprotezione, quando si parla di rischio stocastico somatico si intende far riferimento essenzialmente a tumori maligni, anche se, dal punto di vista eziologico, sono egualmente attribuibili alle radiazioni ionizzanti i tumori benigni. In ogni caso i tumori radioindotti sono aspecifici, nel senso che presentano caratteristiche del tutto eguali a quelli indotti da altri agenti cancerogeni o da quelli “naturali”.
Per quanto riguarda la patogenesi conseguente ad irradiazione, la radiobiologia, che studia gli effetti delle radiazioni sugli animali, può fornire delle utili informazioni da estrapolare all’uomo. Si può pertanto puntualizzare che è a livello di alcune macromolecole chiave per la vita cellulare, quali DNA ed enzimi, che una alterazione biofisica e biochimica può dare origine a lesioni biologiche irreversibili. La lesione può verificarsi per una interazione diretta della radiazione con le forze di legame che supportano la struttura molecolare o per una azione mediata dall’intervento dei radicali liberi generati dalla radiazione stessa, in particolare dai radicali prodotti dall’interazione della radiazione con le molecole di acqua di cui è ricca tutta la materia vivente. Si ritiene che il 65% delle lesioni al DNA sia dovuto all’azione indiretta dei radicali liberi ed il restante 35% all’azione diretta della radiazione sul DNA. In relazione a queste due modalità, sul DNA possono intervenire delle alterazioni elementari, quali ad esempio:

  • reazioni chimiche di alchilazione, ossidazione, etc, delle basi,
  • perdita di una o più basi puriniche o pirimidiniche,
  • formazione di un addotto chimico,
  • rottura di un filamento principale o di entrambi i filamenti in corrispondenza dei legami glicosidici o fosforici,
  • formazione di legami crociati nel singolo filamento,
  • formazione di legami crociati tra filamenti diversi

Gli effetti morfologici e funzionali più generali conseguenti alle lesioni del DNA sono principalmente rappresentati, a livello cellulare, dai seguenti danni:

  • danno cromosomico, che si manifesta visivamente con:
    – aberrazioni numeriche (eteroploidia),
    – aberrazioni sequenziali (delezione, interscambi, inversioni pericentriche,….),
    – aberrazioni strutturali (frammenti, anelli, dicentrici,….).
  • danno genico, rappresentato da mutazioni nei singoli geni (quindi a un livello strutturale più basso del cromosoma), mutazioni che quasi sempre sono negative per il clone cellulare (o per le cellule germinali),
  • ritardo mitotico, che consiste in una permanenza maggiore delle cellule labili nella fase G2 e ciò comporta una diminuzione dell’indice mitotico, almeno per un certo periodo di tempo dopo l’esposizione,
  • danno letale che consiste nella scomparsa della capacità riproduttiva della cellula (la capacità di riprodursi da parte della cellula diminuisce all’aumentare della dose assorbita)

L’elemento cardine del danno cellulare, che si estrinseca sia a livello somatico che genetico, è quindi rappresentato dalle alterazioni indotte sugli acidi nucleici e si estrinseca o nella morte della cellula o nella sua trasformazione. Nel caso di irradiazioni elevate sarà più eclatante il primo effetto, che sfocerà in una sintomatologia sul piano clinico da correlare all’organo o al sistema maggiormente colpito o più radiosensibile. Il secondo effetto, che ha un periodo di latenza molto più lungo e non è correlabile ad una soglia, è in qualche modo responsabile della cancerogenesi.
La trasformazione neoplastica per unanime consenso del mondo scientifico è un fenomeno complesso, lungo nel tempo, che comincia ormai ad essere più chiaro e che, anche se non compreso a fondo, indica che si tratta di un processo a molti stadi nel quale la lesione a livello del DNA rappresenta la prima e più importante tappa del procedimento. Nella letteratura corrente si parla con certezza di almeno tre stadi:

  • iniziazione: che è la fase nella quale si ha la produzione di una mutazione genetica “stabile” (cioè trasmissibile alle cellule figlie), che nel caso delle radiazioni ionizzanti può avvenire attraverso i meccanismi dell’ “urto o effetto diretto” o dell’ “effetto indiretto” attraverso, ad esempio, i radicali liberi, come già indicato;
  • promozione: che è un processo che si protrae nel tempo e che richiede esposizione prolungata e/o ripetuta ad un agente promovente, come sono appunto anche le radiazioni ionizzanti; questa azione consiste nell’indurre la proliferazione cellulare attraverso una delle varie vie che interferiscono con i normali sistemi di controllo del ciclo di riproduzione cellulare. Questa, generalmente, avviene a seguito di uno stimolo (per esempio ormonale) sulla membrana superficiale della cellula e con la conseguente attivazione di sistemi enzimatici di trasduzione endocellulare, come le esochinasi. Ciò in ultima analisi si traduce, all’interno del nucleo, in una inibizione di geni soppressori e/o in un’attivazione di geni promotori. In questa fase si viene anche a determinare una modificazione dello stato di differenziazione della cellula, con una inibizione o addirittura una regressione (dedifferenziazione) della sua specializzazione, fatto questo che può far riassumere alla cellula le caratteristiche totipotenti tipiche della fase ontogenetica, cioè del periodo di formazione degli organi;
  • progressione: questo terzo passaggio può essere distinto a sua volta in fase di conversione e, più propriamente, in fase di progressione. La conversione è la fase nella quale una o più cellule, che ormai si riproducono rapidamente, trasformano il loro fenotipo da precanceroso a maligno. Qui sembrano giocare un ruolo importante i processi di amplificazione di alcuni proto?oncogeni (come il c?ras) o l’inattivazione di alcuni geni soppressori (come il gene p53). Nella fase di progressione il processo di malignità va avanti ulteriormente con l’acquisizione delle caratteristiche di invasività e di metastatizzazione, dovute principalmente all’acquisizione dell’insensibilità, alla inibizione da contatto, alla secrezione di enzimi litici della matrice intercellulare, alla secrezione del fattore autocrino di mobilità (AMF), etc.

Questi processi complessi ed ancora poco chiari, e sui quali la ricerca è estremamente attiva, sono contrastati, in ogni caso, con almeno tre livelli di protezione, che fanno capo ai principi dell’omeostasi:

  • il livello dei sistemi antiossidativi che tendono a bloccare l’azione dei radicali liberi principali artefici della formazione di addotti e più probabili responsabili, assieme alle rotture doppie del DNA, delle mutazioni geniche e quindi dell’azione iniziatrice del processo oncogeno. Ad esempio alcune molecole biologiche contenenti in genere il gruppo tiolico?SH sono in grado di cedere facilmente 1’H neutralizzando radicali liberi o sottraendo ossigeno alla cellula. Un composto sulfidrilico presente nella cellula in concentrazione relativamente alta è il glutatione GSH (o anche molecole proteiche contenenti il gruppo cistenico?CH2?SH) che viene considerato un “modulatore” della radiosensibilità cellulare;
  • il livello dei sistemi enzimatici riparativi che fanno della cellula un vero e proprio microlaboratorio chimico; in questo laboratorio i numerosi enzimi, operando in modo armonico e sinergico, provvedono al ripristino dell’integrità dell’informazione genetica ed alla riparazione dei danni al DNA; a questo livello fa capo anche l’attività di “morte programmata della cellula” o apoptosi, processo che porta appunto alla morte della cellula che non può essere riparata. Si tratta di sistemi più o meno complessi mono- o poli?enzimatici che svolgono azioni di riparazione a livelli più organizzati, che operano sul DNA interventi di “escissione” (eliminazione di un tratto) e successiva ricostruzione, di “riparazione per postreplicazione”, etc.
  • il livello della vigilanza sull’integrità del “self”, rappresentato dal sistema immunitario, che provvede ad eliminare le cellule “deviate”.

Effetti genetici

Per effetti genetici si intendono (visto che le mutazioni eccezionalmente sono positive per la specie) le manifestazioni patologiche che conseguono ai figli a seguito del danno indotto dalle radiazioni ionizzanti sulle cellule della linea germinale dei genitori e che possono estrinsecarsi sia in aborti spontanei che in malattie ereditarie.
Per quanto riguarda il rischio abortivo si deve parlare più di un’ipotesi anziché di fatti scientificamente provati nella specie umana, giacché non vi sono indicazioni concrete che possano condurre ad una correlazione causa-effetto, e ciò potrebbe dipendere dal fatto che la quantificazione del rischio abortivo non risulta agevole, data la precocità con cui si può manifestare nel corso della gestazione, simulando pertanto un mestruo posticipato.
Anche nel caso degli effetti genetici va evidenziato che quelli radioindotti non hanno una specificità che consenta di distinguerli da quelli che si manifestano in modo apparentemente spontaneo e dovuto ad altre svariate ragioni.
Il meccanismo di induzione di tali effetti è perfettamente analogo a quello che sta alla base degli effetti stocastici somatici, con la differenza che qui le aberrazioni cromosomiche o le mutazioni genetiche riguardano le cellule della linea germinale anziché somatica. Mentre al momento le tecniche citologiche visive non permettono di evidenziare mutazioni di singoli geni (forse il ricorso alle tecniche, peraltro ormai abbastanza diffuse, di biologia molecolare potrebbero dare in futuro indicazioni “firmate” dall’agente eziologico), l’evidenziazione delle alterazioni del patrimonio genetico è invece visivamente possibile nel caso che l’alterazione sia grossolana e consista in una modificazione numerica o morfologica dei cromosomi. Tra le malattie con alterato numero dei cromosomi (aneuploidia) possiamo ricordare quelle riportate nella tabella 13.

Tab.13: Alcune sindromi genetiche da alterato numero cromosomico
Sindromen.crom.CorredoCaratteristiche clinicheFrequenza
Klinefelter47XXYMicrodidimia, azoospermia, ginecomastia, eunocoidismo, faccia glabra, osteoporosi, deficit mentale2.10-3
maschi
Turner45XInfantilismo sessuale, nanismo, Pterigio, amenorrea1.10-3
femmine
Down47trisomiaRitardo mentale, pliche epicantiche, orecchie malformate, occipite piatto1/700
Trisomia D471 dei 3 cromos. del gruppo DMicroftalmia, opacità corneali, orecchie malformate, palatoschisi, criptorchidismo, amgiomi facciali, malformazioni cardiache e renali1-2.10-4
Trisomia E47crom. 17 o 18Orecchie ad impianto basso, micrognatismo, occipite priminente, sterno breve, pelvi strette, malformazioni cardiache e renali1-2.10-4

Una malattia dovuta a delazione è quella che va sotto il nome di “cri du chat” caratterizzata da grave ritardo mentale, microcefalia, ipertelorismo con grido caratteristico somigliante al miagolio del gatto. Vi è una mancanza di circa 2/3 del braccio corto di un cromosoma del gruppo B (4 o 5). E’ stato rilevato altresì che nel mongolismo si ha una più elevata incidenza leucemica ed è stato constatato che in soggetti normali affetti da leucemia mieloide si osserva una alterazione cromosomica nella coppia 21-22 consistente in una abnorme piccolezza (per delezione o traslocazione) di parti di tali cromosomi, che vengono indicati, così modificati, come cromosomi Ph (Philadelpia). E’ evidente che grandi alterazioni morfologiche (ad es., dicentrici, anelli, etc.) rappresentano motivo di infecondità per i gameti portatori e pertanto o non daranno luogo a formazione di zigote o saranno motivo di abortività alla prima suddivisione dello zigote. Va esplicitamente rilevato che le malattie genetiche dovute ad alterazioni grossolane del corredo cromosomico ed indicate nella tabella 13 non sono mai state osservate nella specie umana come associabili ad esposizione dei genitori alle radiazioni.
Accanto alle malattie cromosomiche esiste una vasta congerie di malattie, il cui numero va crescendo con l’affinarsi delle conoscenze, determinate da mutazione geniche disvitali (caratteri patologici compatibili con la vita). Fra le oltre 5000 ad oggi note, nella tabella 14 se ne riportano alcune tra quelle determinate da disordini genetici dominanti, tratte dal BEIR V, con la loro frequenza “naturale” di comparsa. Anche per quanto riguarda queste malattie non esistono evidenze epidemiologiche nella specie umana che ne ricolleghi la causa all’esposizione a radiazioni ionizzanti.

Tab.14: Dose soglia indicativa per alcuni effetti deterministici
MalattiaFrequenza (10-16)
Osteogenesi imperfetta40
Acondroplasia30
Anidria15
Poliposi colica71
Retinoblastoma24
Rene policistico860
Distrifia miotonica220
Sferocitosi220
Morbo di Huntington300
Sindrome di Marfan30
Sclerosi tuberosa25
Neurofibromatosi350

Si tratta di malattie monogeniche, determinate cioè dalla mutazione di un solo gene. Accanto vanno considerate anche le malattie ereditarie di origine poligenica più difficili da individuare e quantificare (ad es., fra tali malattie sembra che debba essere considerato il diabete).
E’ evidente che la gravità sanitaria delle malattie ereditarie non è univocamente quantificabile, in quanto essa può andare dalla morte infantile, ad un accorciamento della vita, a menomazioni più o meno gravi, ad alterazioni che potrebbero anche non evidenziarsi sul piano clinico, in quanto la mutazione indotta resta a livello genotipico recessivo senza capacità espressiva.
Sulla base di osservazioni ed ipotesi si stima che la incidenza di malattie genetiche in una popolazione umana non soggetta a irradiazioni artificiali sia dell’ordine di 105 per 106 nati vivi (cioè il 10% circa dei nati vivi è portatore di malattia genetica).
Merita ricordare che nella specie umana non è stato ancora mai dimostrato che le radiazioni ionizzanti possono indurre effetti genetici; i risultati di una tale associazione sono negativi non solo nei discendenti delle popolazioni esposte all’incidente di Chernobyl, ma anche nel caso dei discendenti degli esposti alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.