Gli effetti delle radiazioni | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
I raggi X e la radioattività, scoperti rispettivamente nel 1895 e 1896, si rivelarono subito come potenti e innovativi strumenti di diagnostica medica lasciando intravedere anche alcune possibilità di impiego in campo terapeutico (risale infatti al 1899 la prima guarigione a mezzo dei raggi X di un cancro della cute). Tuttavia si evidenziarono rapidamente anche alcuni aspetti collaterali negativi come, ad esempio, l’insorgere di eritemi legati a lunghe esposizioni alle radiazioni. Successivamente, 6-7 anni dopo la loro scoperta, si ebbe evidenza dell’induzione di un tumore maligno della pelle insorto su un’ulcera radiogena cronica. Si può dire quindi che la radiopatologia è la conseguenza dei benefici della radiologia, ed è proprio per questi evidenti vantaggi che in breve tempo, agli inizi del secolo, vi è stata una enorme diffusione degli apparecchi a raggi X ed una intensa attività di ricerca sul radio, che hanno esposto un numero di operatori sempre più vasto alle radiazioni ionizzanti. Con la diffusione dell’uso, si è avuto anche un aumento ed una differenziazione della patologia, e, accanto ad una prima patologia di tipo acuto è comparsa anche quella di tipo cronico: “la cute del radiologo”. Nel 1912 viene poi descritta la prima “anemia da raggi”, anche essa in forma cronica, lentamente evolutiva, che è stata nosologicamente con più frequenza riferita come “sangue dei radiologi”. In sul finire degli anni venti furono evidenziati gli effetti genetici in esperimenti di radiobiologia: il moscerino della frutta, per la prolificità e la velocità riproduttiva, ha fornito il mezzo di indagine d’elezione ed ha mostrato la capacità mutagena delle radiazioni, con possibili effetti trasmissibili alla discendenza (peraltro mai riscontrati nella specie umana). I risultati di tali studi vennero più tardi estrapolati alla specie umana, senza però che nella specie umana mai fino ad oggi siano stati osservati, neanche nelle popolazioni più esposte. Le ricerche e le applicazioni per fini bellici e, successivamente, per fini industriali ed energetici, negli anni ’40 e ’50 hanno portato ad evidenziare altre patologie di tipo acuto con coinvolgimento parziale o totale dell’organismo: le sindromi acute localizzate e quelle da panirradiazione, che sono conseguite alle forti esposizioni determinate da esplosioni nucleari, o da incidenti verificatisi negli impieghi pacifici dell’energia nucleare dopo gli anni ’50. A cominciare dagli anni ’50 sono iniziati i primi studi epidemiologici su categorie, soprattutto radiologi e gruppi di pazienti esposti per motivi terapeutici e diagnostici, per chiarire il sospetto, già presente negli anni ’30, circa le capacità oncoinduttrici delle radiazioni. Gli studi epidemiologici degli anni successivi più significativi dal punto di vista statistico soprattutto quelli degli esposti alle esplosioni delle bombe atomiche, hanno confermato tale sospetto, orientando la IARC ad attribuire alle radiazioni la collocazione in classe 1 come: “agenti cancerogeni per l’uomo”. Oggi si può quindi dire che il capitolo delle malattie da radiazioni ionizzanti ha raggiunto un assetto definitivo nel vasto libro della patologia umana, talché tale capitolo viene unanimemente suddiviso nei seguenti paragrafi (vedi tabella 7):
· effetti genetici che conseguono ai discendenti della popolazione esposta, la cui incidenza si suppone avvenga anche nella specie umana, in conformità ad una relazione dose-probabilità.
A questi effetti canonici, anche a seguito delle reazioni riscontrate in situazioni incidentali, bisogna aggiungere gli “effetti psicologici”, che conseguono anche in assenza di un assorbimento di dose e che mostrano la loro presenza essenzialmente con manifestazioni cliniche sul piano psichico e psicosomatico. Effetti somatici deterministici (non stocastici o graduati) Sono, questi, effetti conseguenti a esposizioni a dosi elevate. Indicativamente la soglia di sensibilità dell’organismo “in toto” è, per un irraggiamento acuto, dell’ordine di 0.25 Gy (25 rad), valore intorno al quale cominciano a manifestarsi le prime alterazioni ematologiche, rappresentate da un modesto, precoce e transitorio calo linfocitario, mentre la comparsa di qualche aberrazione cromosomica si verifica già per l’assorbimento di una dose di un fattore 2-3 più bassa.
Questi effetti non sono solamente caratterizzati dalla presenza di una soglia, ma anche da una gravità, sul piano sintomatologico, clinico e prognostico, crescente con la dose ricevuta. Per queste ragioni da noi, in Italia, tali effetti venivano denominati anche “effetti graduati” (da gradus=gradino) per indicare non solo la presenza di una soglia, ma anche questa “gradualità” delle manifestazioni cliniche connessa con l’entità della dose assorbita. Nella tabella 8 sono riassunte le principali caratteristiche di questo tipo di effetti.
Sostanzialmente quindi, a seconda dell’effetto, vi è una soglia che va correlata alla radiosensibilità del tessuto interessato. Nella tabella 9 vengono riportate le soglie approssimative di dose per alcuni effetti conseguenti ad una irradiazione acuta. Gli effetti di una irradiazione acuta vengono anche detti “effetti precoci”, giacché compaiono, dalla azione della causa, dopo un intervallo di tempo (periodo di latenza) relativamente breve (ore, giorni o settimane). Fa eccezione la cataratta che può avere periodi di latenza dell’ordine di 1-2 anni; ma anche in tal caso le prime opacità del cristallino compaiono abbastanza precocemente. Il breve periodo di latenza è pertanto un altro elemento caratteristico di tali effetti (gli effetti stocastici infatti hanno periodi di latenza ben più lunghi, dell’ordine di anni). Per illustrare l’altra caratteristica, quella della gradualità, nella tabella 10 sono riportate le manifestazioni cliniche che compaiono a seguito di una panirradiazione acuta di entità crescente.
Nel caso di una irradiazione localizzata alla cute, la “gradualità”, e quindi la gravità, delle lesioni è riportata nella tabella 11.
In questa tabella la dose soglia è riferita a raggi X di 100 KeV. Le soglie aumentano per radiazioni più penetranti, ma allora vengono interessati anche i tessuti profondi. In ogni caso anche per radiazioni elettromagnetiche più penetranti, le manifestazioni precedenti si verificano in corrispondenza di una dose assorbita dalla strato basale della cute pari a quello sopra indicato. Ciò non è più vero se si cambia “tipo” di radiazione. In particolare, una irradiazione dello strato basale con particelle alfa, con neutroni o con protoni determina gli stessi effetti a livelli più bassi di dose assorbita. Questa constatazione ha consentito di introdurre il concetto di “efficacia biologica relativa” della radiazione, il cui significato è numericamente correlato al rapporto tra la dose efficace al 50% della radiazione in esame, rispetto alla stessa dose di radiazione elettromagnetica. Oggi tale concetto, che è pur sempre valido in radioterapia, è stato adattato alle esigenze della radioprotezione con riferimento soprattutto agli effetti stocastici, di cui si dirà più oltre, e si preferisce parlare di “fattore di peso” piuttosto che di “fattore di qualità” della radiazione (come nel passato recente) o di “efficacia biologica relativa” (come nel passato più lontano). Dc = Datn dove Dc è la soglia per esposizione cronica, Da è quella per esposizione acuta, tè il tempo durante il quale la dose viene frazionata ed n è un numero valutato sulla base della pendenza della curva su scala bilogaritmica ed è espressione della capacità di recupero del tessuto. La “distribuzione temporale” della dose, pertanto, determina un innalzamento delle soglie di comparsa dei vari effetti graduati di un fattore variabile, in relazione al periodo di frazionamento della dose. Tale principio viene sfruttato in radioterapia. Ma parlando di radiopatologia la esposizione cronica interessa in quanto responsabile di due sindromi, che, per esser diffuse nel passato tra i radiologi, sono note come “sangue del radiologo” e “cute del radiologo”. La prima (anemia cronica) è il risultato di una ipoplasia midollare indotta da dosi dell’ordine di qualche centiGray per settimana al midollo osseo, con un quadro ematologico periferico di tipo anemico e leucopenico che migliora a seguito di allontanamento dalla sorgente di rischio. La seconda (radiodermite cronica) si manifesta dopo alcuni anni di esposizione al rischio con secchezza, assottigliamento e fragilità del rivestimento cutaneo, con comparsa di verruche, ipercheratosi e teleangectasie e, a lunga distanza, comparsa di piaghe torbide di difficile guarigione e possibile comparsa di carcinoma di tipo spino- o basocellulare. linfociti In generale, la scala di radiosensibilità dei tessuti ubbidisce alle regole di Bergonie e Tribondeau (1906) già ricordate sopra, anche se oggi si è riscontrata qualche eccezione. In genere, la radiosensibilità è maggiore per quelle cellule per le quali: – la frequenza mitotica è più alta, Come ulteriore informazione si può aggiungere che le cellule e i tessuti sono più radiosensibili quanto meglio sono ossigenati (effetto ossigeno): se meglio ossigenate, le cellule non solo si riproducono più rapidamente, ma più facilmente possono formare composti nocivi o complessi molecolari che possono legarsi ad altre molecole importanti per la sopravvivenza cellulare o per il contenuto informativo che devono trasmettere alla loro discendenza. L’ossigeno peraltro può comportare il blocco dei sistemi enzimatici di riparazione, con la formazione di perossidi irreversibili ed inattivi. Effetti somatici stocastici Sotto il termine di effetti stocastici si raggruppano sia effetti somatici (che interessano il “soma” dell’individuo esposto), sia effetti genetici (che interessano i figli degli esposti) e per i quali si veda il paragrafo successivo. Questi effetti compaiono con incidenza casuale e per essi, convenzionalmente e per i fini della radioprotezione, si assume una probabilità non nulla di comparsa anche per dosi molto piccole e prossime allo zero (ipotesi dell’estrapolazione a zero), e cioè si assume l’assenza di una soglia. In particolare, l’induzione di effetti somatici stocastici consiste nella induzione di tumori (oncogenesi) su tessuti o organi dell’individuo esposto. Le principali caratteristiche di tale tipo di effetti sono riportati nella tabella 12. Tale capitolo della patologia da radiazioni è indubbiamente più importante per la radioprotezione, proprio in relazione a questo manifestarsi “a caso” degli effetti stocastici e al fatto che si prescinde da una soglia; pertanto per i fini della radioprotezione si assume che neanche al di sotto dei valori limite di dose vi sarebbe una garanzia assoluta nei riguardi di una possibile patologia indotta. Va esplicitamente ed enfaticamente rilevato però che l’estrapolazione a zero è un’ipotesi. Essa è stata formulata come principio di prudenza per i fini esclusivi della protezione dalle radiazioni, cioè della disciplina di radioprotezione a suo tempo fondata per la prevenzione e per la protezione degli effetti sanitari dell’esposizione a radiazioni ionizzanti, disciplina ben distinta dalla radiopatologia che è invece la disciplina che si occupa della clinica, terapia e riabilitazione dei pazienti affetti da patologie già in atto causati dall’esposizione alle radiazioni, disciplina nella quale evidentemente non ha senso il principio di estrapolazione a zero.
Poiché oggi il tema degli effetti stocastici è il tema dominante nell’interesse collettivo, merita precisare alcuni elementi di basilare interesse per la comprensione di questi effetti, a cominciare dalla definizione.
In radioprotezione, quando si parla di rischio stocastico somatico si intende far riferimento essenzialmente a tumori maligni, anche se, dal punto di vista eziologico, sono egualmente attribuibili alle radiazioni ionizzanti i tumori benigni. In ogni caso i tumori radioindotti sono aspecifici, nel senso che presentano caratteristiche del tutto eguali a quelli indotti da altri agenti cancerogeni o da quelli “naturali”.
Gli effetti morfologici e funzionali più generali conseguenti alle lesioni del DNA sono principalmente rappresentati, a livello cellulare, dai seguenti danni:
L’elemento cardine del danno cellulare, che si estrinseca sia a livello somatico che genetico, è quindi rappresentato dalle alterazioni indotte sugli acidi nucleici e si estrinseca o nella morte della cellula o nella sua trasformazione. Nel caso di irradiazioni elevate sarà più eclatante il primo effetto, che sfocerà in una sintomatologia sul piano clinico da correlare all’organo o al sistema maggiormente colpito o più radiosensibile. Il secondo effetto, che ha un periodo di latenza molto più lungo e non è correlabile ad una soglia, è in qualche modo responsabile della cancerogenesi.
Questi processi complessi ed ancora poco chiari, e sui quali la ricerca è estremamente attiva, sono contrastati, in ogni caso, con almeno tre livelli di protezione, che fanno capo ai principi dell’omeostasi:
Effetti genetici Per effetti genetici si intendono (visto che le mutazioni eccezionalmente sono positive per la specie) le manifestazioni patologiche che conseguono ai figli a seguito del danno indotto dalle radiazioni ionizzanti sulle cellule della linea germinale dei genitori e che possono estrinsecarsi sia in aborti spontanei che in malattie ereditarie.
Una malattia dovuta a delazione è quella che va sotto il nome di “cri du chat” caratterizzata da grave ritardo mentale, microcefalia, ipertelorismo con grido caratteristico somigliante al miagolio del gatto. Vi è una mancanza di circa 2/3 del braccio corto di un cromosoma del gruppo B (4 o 5). E’ stato rilevato altresì che nel mongolismo si ha una più elevata incidenza leucemica ed è stato constatato che in soggetti normali affetti da leucemia mieloide si osserva una alterazione cromosomica nella coppia 21-22 consistente in una abnorme piccolezza (per delezione o traslocazione) di parti di tali cromosomi, che vengono indicati, così modificati, come cromosomi Ph (Philadelpia). E’ evidente che grandi alterazioni morfologiche (ad es., dicentrici, anelli, etc.) rappresentano motivo di infecondità per i gameti portatori e pertanto o non daranno luogo a formazione di zigote o saranno motivo di abortività alla prima suddivisione dello zigote. Va esplicitamente rilevato che le malattie genetiche dovute ad alterazioni grossolane del corredo cromosomico ed indicate nella tabella 13 non sono mai state osservate nella specie umana come associabili ad esposizione dei genitori alle radiazioni.
Si tratta di malattie monogeniche, determinate cioè dalla mutazione di un solo gene. Accanto vanno considerate anche le malattie ereditarie di origine poligenica più difficili da individuare e quantificare (ad es., fra tali malattie sembra che debba essere considerato il diabete). |